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Avvocati condannati per negligenza anche se hanno vinto la causa: devono risarcire 80mila euro.

Tribunale di Roma, sentenza 5024/2020, pubblicata in data 11 marzo 2020


Il Tribunale di Roma ha condannato due avvocati a risarcire al loro cliente 80mila euro, oltre interessi (e oltre la condanna alle spese legali per il processo per oltre 13mila euro) nonostante questi avessero vinto la causa oggetto della disputa.


In effetti, questi avvocati hanno difeso il loro assistito in una causa per risarcimento del danno a seguito di un sinistro stradale. Il Giudice del quel procedimento, nonostante abbia valutato il danno patito in 170 mila euro, ha dovuto limitare - nel concreto - detto risarcimento a "soli" 100mila euro, e ciò perché quello era il limite della richiesta risarcitoria formulata dagli avvocati (e se il Tribunale avesse risarcito di più del richiesto, allora il Giudice avrebbe commesso un illecito chiamato "ultrapetizione della sentenza").


In effetti è prassi comune utilizzare, nelle conclusioni degli avvocati, una formula aperta - quasi di stile - che sostanzialmente chiede la condanna per una determinata cifra, salvo il fatto che il Giudice possa altresì condannare ad una cifra superiore od inferiore, in base alle risultanze istruttoria.


Questi avvocati, però, si sono dimenticati di inserire questa formula di rito, vincolando la richiesta solo alla somma ivi dichiarata, e di conseguenza obbligando il Giudice a contenere il risarcimento a quanto effettivamente domandato.


La mancanza dell'inserimento della formula di apertura è stato valutato dal Giudice, nel procedimento di responsabilità professionale celebrato contro gli avvocati, come atto di negligenza professionale ("una negligenza da parte degli odierni convenuti i quali, mediante un atto di citazione incompleto e mal formulato, hanno sicuramente causato un danno patrimoniale al signor XXX non adempiendo alle obbligazioni sugli stessi gravanti con la diligenza richiesta, ex artt. 1176 e 1218 c.c., dall’incarico professionale assunto") e di conseguenza ha condannato gli stessi a risarcire il danno che hanno procurato al loro assistito, quantificando lo stesso come la differenza tra quanto questi avvocati hanno domandato e quanto effettivamente il loro cliente avrebbe ottenuto a fronte di una formulazione della domanda corretta.


Infine va evidenziato come uno dei due avvocati difensori abbia sollevato una eccezione, sostenendo di essere solamente l'avvocato domiciliatario, e che dunque non avrebbe dovuto rispondere di nulla (non essendo lui responsabile, se non appunto della relativa domiciliazione).


Il Tribunale ha respinto tale accezione evidenziando come "l’atto di citazione del 3 ottobre 2001 riporti a margine la procura ad litem, firmata dal signor XXX, tanto per l’avv. YYY quanto per l’avv. ZZZ; ciò dimostrando l’assoluta estraneità del cliente a qualsivoglia tipo di accordo professionale interno intercorso tra i due avvocati. Senza contare, peraltro, che lo stesso Tribunale campano dà atto, nella intestazione della sentenza, della presenza di entrambi gli avvocati per la difesa del signor XXX; anche in tal caso senza alcuna distinzione di sorta sui ruoli in concreto svolti dai professionisti in questione".


Insomma, non si ha motivo di credere che l'avvocato domiciliatario non fosse davvero tale, ma in questo caso lo stesso non si era limitato a ricevere il mandato di domiciliazione, ma si era fatto inserire (o era stato inserito) direttamente nella procura alle liti (non come mero domiciliatario, ma come difensore con pieni poteri) e di conseguenza è stato condannato in solido con l'altro avvocato.


Qui di seguito la SENTENZA integrale, a cura della Redazione di Errore Avvocato.

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